chiusa di pesio dalle origini al 2000 (pagina dimostrativa)

 

CHIUSA UNITA E REDENTA

Chiusa la parentesi delle elezioni politiche, rimaneva sempre aperta la questione del rinnovo del consiglio comunale, dato che il commissariamento procedeva oltre ogni ragionevole lasso di tempo. Un coro di proteste si levò pertanto a sollecitare la fissazione di una data, facendo leva sulle dichiarazioni di disponibilità pronunciate dal Cucci nella riunione tenutasi nei locali dell'asilo. I combattenti si spinsero a proporre una commissione paritetica, rappresentante sia i partiti che le associazioni, al fine di conferire direttamente col prefetto, ma il fascio locale, per bocca del segretario politico geometra Vanni, rispose di non gradire interferenze in merito alle competenze specifiche delle autorità; anzi lo stesso prefetto, sollecitato da non si sa chi, inviò a Chiusa un manipolo di carabinieri in occasione di festeggiamenti popolari "come se questo paese che è sempre stato esempio di tranquillità e civiltà fosse inquinato da quella idrofobia politica che mette a repentaglio la pace di altre località della penisola.

In sostanza e per finirla, Chiusa Pesio non è antifascista e non vuole fare una politica antifascista, perché i combattenti che sono in maggioranza hanno invitato ed intendevano collaborare coi fascisti.

(...) Chiusa Pesio unanime, coi suoi prodi combattenti alla testa, vuole liberamente eleggersi la sua amministrazione comunale, e liberamente governarsi" (Corriere Subalpino, 7 maggio 1924 e La Sentinella, 10 maggio 1924).

Anche il bollettino parrocchiale invitava al dialogo. Pur non essendo in grado di esprimere giudizi di merito "per ragioni che sarebbe troppo lungo e troppo scabroso esaminare", osservava che erano in lotta due parti e non due partiti, "perché non si tratta qui di opinioni politiche, ma di semplici divergenze nella valutazione di fatti e di metodi d'amministrazione e di interessi più o meno pubblici" (18 maggio 1924).

In giugno, dopo il rapimento e l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (il cadavere sarà ritrovato due mesi dopo) che con coraggiosa temerarietà aveva denunciato i brogli elettorali dei fascisti e annunciato clamorose rivelazioni, le cose cambiarono. Vivissima fu la ribellione dell'opinione pubblica e sembrò che la crisi politica e sociale potesse causare il rovesciamento del fascismo.

"Cose da medio evo" fu il durissimo commento del bollettino parrocchiale, che accennando alla distruzione dei circoli cattolici e ad una serie di "delitti misteriosi e raccapriccianti" accomunava il caso Matteotti all'uccisione di don Minzoni. Pur senza muovere nessuna accusa formale verso Mussolini, colpevole comunque di aver tenuto un atteggiamento ambiguo e di non aver provveduto ad epurare il partito dai "servi che rovinano la fama del padrone", l'articolista si chiedeva come avrebbe potuto sentirsi protetto dai pubblici poteri il popolo italiano ormai così sfiduciato e disgustato dal clima di intimidazione fomentato dal governo: "L'assassinio Matteotti ha finalmente fatto traboccare la marea. Dio voglia che si cambi sistema" (BPLa Bisalta, 22 giugno 1924 e 6 luglio 1924).

 

LA CAMPAGNA ELETTORALE

Con queste premesse prese avvio la campagna elettorale che vide lo scontro muro a muro tra il listone presentato dal comitato "Chiusa unita e redenta", raggruppante ex combattenti e liberali, ed una lista raffazzonata alla bell'e meglio dai fascisti locali. Il bollettino parrocchiale, che assieme al Subalpino costituisce la fonte primaria delle nostre informazioni in questo periodo, ne dava il seguente giudizio:

"La situazione criticissima del paese, che andò intorbidandosi sempre più in questi ultimi mesi, per varie cause, che produssero una agitazione generale, rese impossibile la combinazione di una lista, che potesse chiamarsi della pace, nelle elezioni, che si svolsero domenica 15 giugno.

Le stesse persone, che avevano tenuto l'Amministrazione del Comune fino all'arrivo del Commissario, per lasciar libera la mano all'Amministrazione nuova, e libero il giudizio sulla loro opera, si ritirarono tutte quante, per lasciare il passo ai Combattenti, che organizzarono la campagna elettorale sotto la direzione di un Comitato battezzato col nome sensazionale Chiusa unita e redenta.

I dissidenti tentarono all'ultima ora una lista propria di pochi nomi" (BPLa Bisalta, 22 giugno 1924).

In realtà agli amministratori scaduti fu impedito di ripresentarsi in virtù del Regio Decreto del 30 dicembre 1923, ma anche se ne avessero avuto l'agio avrebbero tirato in remi in barca. Su di loro, in particolare sugli assessori Giovanni Maria Serraglia, Matteo Gabutti, Giovanni Antonio Gabutti, Battista Gondolo, l'avvocato Alessandro Mauro, Matteo Mauro, Maurizio Gola, pendeva un atto giudiziario sulla base delle presunte irregolarità riscontrate dal Cucci nella sua famosa relazione. E la minaccia di essere condannati a sanare in solido una cifra vicina alle centomila lire, li costringeva a più ponderate riflessioni.

La campagna del comitato fu impostata contro il malgoverno dei "nuovi" sistemi amministrativi che miravano a consegnare Chiusa nelle mani di pochi arrivisti più o meno "esotici". I comizi in favore del listone non si svolsero tuttavia in un clima di sereno dibattito e di paritario confronto politico, come relazionava il Subalpino raccontando le vicissitudini di un "povero diavolo" di oratore, che sebbene avesse dato un congruo preavviso alle autorità locali, nel momento in cui stava per iniziare a parlare fu bloccato dal maresciallo dei carabinieri e costretto ad attendere l'arrivo del commissario prefettizio. Dopo una buona oretta di attesa, il commissario acconsentì che l'oratore tenesse il comizio, ma gli impose una piccola modifica all'ordine del giorno, e cioè... che non parlasse di bilancio comunale, né di annessi e connessi:

"Pensate che doveva pur parlare: di politica non era decoroso e poteva esser pericoloso, di affari amministrativi nemmeno ché gli era proibito dal Commissario Prefettizio.

Fece come il sarto del Manzoni, alzò gli occhi al cielo; mise a contribuzione tutti i centri nervosi, tese l'arco dell'intelletto, e se non ne nacque un si figuri ne nacque una arringa senza testa né coda" .

Sebbene pochi giorni prima il commissario motu proprio avesse deliberato lo scioglimento, dai più giudicato intempestivo e inopportuno, dell'amministrazione della Congregazione di carità, sino ad allora retta dall'integerrimo colonnello Dadone, per nominare quattro dei suoi uomini più fidati (Armando Vanni, Antonio Dolsa, Michele Tardivo e Riccardo Grenni), l'oratore fu costretto a masticare amaro e dichiarare di riconoscere pubblicamente gli sforzi fatti dal commissario per la pacificazione del paese (Corriere Subalpino, 12 giugno 1924: l'articolo è firmato Celso Scheda, anima del comitato, e Pietro Anfossi, ex combattente).

Acque agitate anche in alta valle, sebbene più per motivi campanilistici che politici, in quanto San Bartolomeo contendeva un posto in consiglio alle frazioni Vigna e Fiolera. Le solide argomentazioni del reduce Lebra di Vigna, presentato da Celso Scheda, fu seguito da un discreto pubblico, sebbene quelli dell'altra riva, come venivano chiamati i fascisti, da più di una settimana avessero battuto casa per casa promettendo a spron battuto l'agognata autonomia, tunnel sotto le montagne per il passaggio rapido in riviera, linee automobilistiche di collegamento con Chiusa e Cuneo, fontane, piazze, scuole e... persino aeroplani.